Storia della motonautica/7. Renato “Sonny” Levi racconta la sua vita e le sue barche
Da “Milestones in my Designs” riprendiamo il racconto in prima persona della vita di Renato “Sonny” Levi. Il miglior modo per ricordarlo e rendergli omaggio.
Pochi progettisti possono essere considerati degli autentici innovatori. Nella motonautica Renato “Sonny” Levi è sicuramente uno di questi.
Attingendo dalle splendide pagine del libro “Milestones in my Designs”, edito nel 1992 dalla Kaos Service di Giovanna Repossi Spelta, campionessa offshore e grande promotrice anche attraverso le sue iniziative editoriali di questo sport, riprendiamo alcune testimonianze con i racconti della vita e con i progetti di questo straordinario progettista, narrate in prima persona e scritte da un grande giornalista di quel periodo di massimo fulgore per la motonautica agonistica: Antonio Soccol.
Renato “Sonny” Levi, gli inizi
Mi chiamo Renato ma per tutti sono “Sonny”. In inglese sonny è un vezzeggiativo che significa figliolino, piccino mio. È stata la mia bambinaia indiana a darmi questo nomignolo… Sono nato a Karachi durante la grande inondazione del 1926, quella che nella memoria del tempo fu giudicata la peggiore che ci fosse mai stata. Forse è per questo che le barche hanno intessuto la mia vita già dalla nascita, benché sono certo che il mio interesse per la velocità sia cominciato più tardi, quando progettai per mio padre un cruiser planante.
Da allora la mia vita è stata destinata a costruire barche e qualche piccolo yacht, benché io abbia anche progettato in seguito un certo numero di veloci motovedette per vari dipartimenti governativi indiani e gli altri Paesi dell’Estremo Oriente.
A differenza di mio padre sono sempre stato un appassionato ammiratore delle barche a vela, passione che risale al giorno in cui a Bombay, bambino, passavo il mio tempo nel nostro cantiere sognando ad occhi aperti, seduto cavalcioni su un tronco di teak e guardavo le vele dei tradizionali “dhows” che silenziosamente scivolavano dal passato su e giù lungo la costa.
Appena più grande avevo preso l’abitudine di salire a bordo di queste intriganti barche cariche di odori di olio, di pesce, di sale e guardavo i marinai al lavoro…
Questi silenziosi brigantini, con i pesanti slanci di prua e le alte snelle vele latine che sapevano acchiappare la minima brezza di mare, mi affascinavano e mi ispiravano; più tardi mi offrirono occasione di divertimento rifuggendo dall’usuale attività di progettista e costruttore di pesanti e rumorose barche da lavoro (cargo, motovedette, scialuppe, rimorchiatori) che rappresentava il pane quotidiano del nostro cantiere.
Una gran parte del mio tempo libero l’ho passata progettando barche a vela e questo hobby, non solo mi ha dato un immenso piacere, ma mi ha procurato anche un certo successo: nelle prime competizioni internazionali cui ho partecipato, i miei progetti si sono sempre piazzati entro i primi tre e sono stati menzionati con interesse...
Ero un ragazzino che fuori dalla scuola si procurava da solo i suoi divertimenti: ero diligente, ma anche pieno di interessi che mi occupavano molto, come nuotare o immergermi a Beach Candy pescando tra gli scogli vicino a casa o sparando nel giardino con un magnifico fucile ad aria compressa regalatomi da un caro amico dei miei genitori.
Avevo anche altri hobbies: collezionavo farfalle, coleotteri e uccelli e all’età di nove/dieci anni cominciai anche a costruire modellini di aerei e di yacht, che prima progettavo e disegnavo.
Già negli anni in India mi era stato inculcato che il grande stimolo del progettare sta nell’innovazione. Ora per me è ovvio che si ottiene un progresso solo se si procede sperimentando nuove idee. Molti, del resto, lo affermano, ma sono assai pochi quelli che lo mettono in atto davvero.
Anche le affermazioni di “innovazione” sono spesso false, perché la novità tecnica non è stata dimostrata e non c’è altro merito che di aver fatto una cosa diversa, una “variazione sul tema”. E certe volte non sono neppure questo, ma semplici rimaneggiamenti o, se preferite, vistose glasse sulla torta stantia!
Tengo conto delle necessità commerciali, ma mi irrita terribilmente ogni ambiguità verso il grande pubblico. L’estetica è importante, sicuramente. Ci può anche essere qualcuno tentato di comprarsi una barca poco gradevole: ma trovo assolutamente immorale appioppargliene una più piccola, o anche più grande, come un progetto innovativo quando invece solo il “look” è cambiato.
Chi ha una vivida immaginazione e una capacità grafica superiore alla media molto spesso si veste del ruolo di progettista. Alcuni possono anche avere successo, ma ben presto si troveranno su un terreno viscido se non si saranno procurati le necessarie cognizioni sul soggetto che stanno trattando. Audacia e sensazionalismo sono le vie più facili per colpire l’attenzione del pubblico.
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