Giampietro Cariglia, dalla subacquea alla canna il passo è breve?
Siamo in Puglia, a Vieste, per incontrare Giampietro Cariglia, angler della nazionale italiana ed esperto di pesca d’altura, anche lui fa parte del blasonato Garmin Fishing Team.
Come sempre le nostre interviste iniziano con le note biografiche, sempre interessanti per capire come si è sviluppata la passione per la pesca nei campioni che incontriamo. Quindi chiediamo a Giampietro Cariglia di raccontaci un po’ di lui, di come è nata la passione per la pesca e da quanti anni.
Giampietro Cariglia. Io provengo dalla subacquea, non da pescatore, ma come operatore Tecnico Subacqueo (OTS), ed è da lì che è nata la passione per il mare e per la pesca. Ogni volta che mi immergevo facevo sempre degli incontri con cernie, dentici, ricciole e non solo. Quindi, circa circa 35 anni fa, ho iniziato a documentarmi sulle tecniche di pesca, studiando e facendone mie alcune, perfezionandole con il passare degli anni e migliorandole con attrezzature al top.
BoatMag. Sei molto conosciuto per essere un pescatore molto attento ai dettagli. Quali curi maggiormente prima di una battuta di pesca?
Giampietro Cariglia. Ogni volta che esco per una battuta di pesca faccio sempre un controllo generale della mia imbarcazione: estintori, VHF, carburante, dotazioni di sicurezza. Dopo passo al controllo dei mulinelli, canne, fili, girelle, ami ecc. per verificare che siano sempre a posto, e che tutto sia sempre al top. Vedo delle volte pescatori che usano con ami vecchi quasi arrugginiti, oppure lasciano le attrezzature in barca alle intemperie non lavandole con acqua dolce. Poi al rientro sono arrabbiati perché perdono i pesci.
BoatMag. Sei componente della nazionale italiana. Raccontaci uno dei momenti più belli che hai vissuto? Rappresentare il tuo Paese nel mondo che emozioni ti da’?
Giampietro Cariglia. È un’emozione indescrivibile, perché è l’obiettivo di ogni pescatore indossare la maglia azzurra. La più bella esperienza è stata quella dei Mondiali del 2014 in Brasile, a Victoria, con la pesca al Marlin dove noi, con Italia A e Italia B, non avevamo nessuna esperienza, eppure ci è bastato un giorno di prove in mare per imparare la tecnica. Durante i tre giorni di gara Italia A (dove ero in squadra) eravamo quinti con tre Marlin bianchi; il secondo giorno con due pesci allamati ci hanno dato una penalità per rottura del terminale; ma il terzo giorno ci siamo rifatti: Italia A prima e Italia B seconda. Al nostro rientro in porto le altre nazionali partecipanti ci hanno onorato con squilli di tromba e con tanti applausi. Peccato per la penalità del secondo giorno perché abbiamo perso l’argento. In quella occasione mi fu cambiato il cognome da Cariglia a Carigua, bellissima esperienza.
L’ultima volta è stata invece ad aprile a Tenerife, con tre strike di cui uno, dopo due ore e mezzo di combattimento, con il tonno big giant da 280/300 kg combattuto con attrezzature leggerissime: canna Top Shot X Sunrise e mulinello Avet Raptor 65 Drag di frizione, imbobinato con seicento metri di multifibre da 90 lb e molla di 50 metri da 100 lb della Titan florino su un fondale di 2 mila metri. Bellissimo: ti parte la lenza con il big tonno che cerca il fondo, vedi scomparire il filo dal mulinello in un attimo e cominci a dire: “sta finendo il filo speriamo si fermi!” Come si ferma, un attimo e cominci a pompare e così, tira e molla per due ore e mezza, fino a quando il big tonno arriva su sfiancato, una montagna di 300 kg, adrenalina pura.
BoatMag. Quando andate a gareggiare per competizioni internazionali come venite accolti all’estero? Come siamo considerati noi italiani nel mondo della pesca sportiva?
Giampietro Cariglia. Per quella che è stata la mia esperienza, dovunque andiamo siamo temuti, cercano di copiarci su tutto: dalle attrezzature alle tecniche, ci rispettano molto.
BoatMag. La tua attività d’imprenditore in ambito turistico quanto tempo ti lascia per andare a pesca?
Giampietro Cariglia. Ho un approdo di cento posti barca con annessi servizi, oltre che un ristorante e bar nel Porto di Vieste, che mi danno la possibilità durante la settimana di uscire a pesca. Ho un Pursuit C 280 con Suzuki 2x300 cv adibito a charter per la pesca e sono Istruttore Pesca Ambientale FIPSAS. Organizzo anche corsi per ragazzi delle scuole primarie e secondarie su pesca e ambiente.
BoatMag. Quale è stata la tua cattura più memorabile?
Giampietro Cariglia. La cattura che più mi è rimasta impressa è stata una cernia di fondale. Pescavo su un fondale di 300 metri circa con mulinelli elettrici quando mi parte la canna, vado a tirare, viene su per una ventina di metri e se ne prende una trentina. È stato un su e giù per più di 30 minuti fino a quando è venuto a galla questo “scoglio” di 64 kg.
BoatMag. Consiglieresti a un neofita di avvicinarsi alla pesca sportiva, da terra o dalla barca? Qual è la tua tecnica preferita?
Giampietro Cariglia. Da terra o dalla barca la pesca è bella tutta perché è soggettiva, non sei tu a scegliere, ma è lei che ti trasporta nella giusta direzione, bisogna provarle tutte. Quanto a me la mia preferita è il drifting al tonno e poi la pesca a bolentino profondo e traina con piombo guardiano.
BoatMag. Devi partire per una gara di pesca importante. Quali sono le prime cose che prepari? La tecnologia aiuta il pescatore e se sì quanto incide?
Giampietro Cariglia. Ogni volta che vado a fare una gara ho una mia check-list dove ho appuntato tutto quello che serve. Per esempio a drifting: i piombi da 10 fino a 175 grammi, l’ancora galleggiante, l’ancora con 200 metri di cima e boa, le canne con i mulinelli dalle frizioni perfettamente tarate, i fili del libraggio come da regolamento IGFA con filo di scorta, i terminali, le girelle, gli ami circle look non off set, il pasturatore, il Garmin Panoptix ecc.
Certamente le attrezzature fanno la differenza, soprattutto rispetto a una volta quando erano molto pesanti, come canne da 80/130 libbre e terminali da 300 libbre con cui ti ammazzavi dalla fatica perché erano troppo dure e tiravi di forza. Oggi la pesca è più difficile perché è più tecnica, anche perché i tonni sono diventati più furbi perché vengono rilasciati e il tonno che è stato vittima di una cattura difficilmente ci ricasca. Ecco perché si ricorre a fili sempre più sottili e di qualità superiore.
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