Fidel Castro, Mauro Ravenna e quella volta che a Cuba l’Offshore…
Grazie a Mauro Ravenna, indimenticato promoter dell’Offshore, Fidel Castro nel 1995 ha dato il via al primo GP dell’Avana Classe 1 Offshore. Ecco come è successo con tutti i retroscena.
Mauro Ravenna, genovese trapiantato nel Principato di Monaco, negli anni Novanta era il promoter del Mondiale Classe 1 Offshore e in precedenza affermato organizzatore dei più importanti incontri di pugilato che si siano svolti a Montecarlo.
È merito suo se una specialità per pochi intimi ha conosciuto negli Ottanta e Novanta una popolarità enorme, con schieramenti di partenza passati da pochi scafi a oltre trenta imbarcazioni, catturando anche l’attenzione di grandi campioni di altri sport come Didier Pironi, ex pilota Ferrari Formula 1, e personaggi pubblici come Stefano Casiraghi e Cesare Fiorio.
Ma la storia che vogliamo raccontare trascende lo sport per diventare un vero e proprio evento di politica internazionale che, in effetti, ha avuto anche delle ricadute politiche, come la prima attenuazione dell’embargo verso Cuba da parte dei Paesi dell’Unione europea.
Lascio parlare Mauro Ravenna, in questa intervista che mi aveva concesso nel 2009, pochi mesi prima che, proprio a Cuba, perdesse la vita in un incidente stradale.
L’intuizione di Mauro Ravenna
Quando sono stato contattato da un amico monegasco da parte di un gruppo finanziario per organizzare una gara a Cuba ho subito pensato: “i soliti visionari che mi faranno perdere del tempo”. È infatti abbastanza intuibile come un organizzatore passi una parte non trascurabile del suo tempo a incontrare personaggi di varia estrazione e nazionalità, ognuno con sottobraccio il progetto della vita. Il più delle volte tutto finisce dopo il primo incontro e, sinceramente, questo è quello che mi aspettavo anche dalla riunione che mi accingevo a iniziare.
Dalla finestra del mio ufficio ho visto atterrare l’elicottero che portava i miei interlocutori dall’aeroporto di Nizza e nel vedere delle persone diverse e distinte ho cominciato a cambiare idea. Il progetto però mi continuava a sembrare troppo ambizioso, un GP offshore di Classe 1 a Cuba, con tutti i problemi di embargo, mi sembrava una sfida davvero dura, ma proprio per questo straordinaria.
Non lo nascondo, sono sempre stato un uomo di destra, ma la rivoluzione di quei giovani “barbudos” contro un dittatore corrotto, le loro battaglie per un mondo più giusto, mi avevano sempre suscitato grande simpatia e rispetto. Erano questi i pensieri che mi giravano in testa mentre aspettavo che i miei interlocutori raggiungessero gli uffici della Spes, Sport promotion et spectacle, la mia società.
I motivi che avevano portato queste persone a pensare a una gara a Cuba erano ancora più originali. Trasferendo da Miami a Cuba una grossa barca da pesca per il presidente della società cubana dello zucchero, del quale erano tra i più importanti partner commerciali mondiali, erano rimasti affascinati dalla bellezza della baia e del mare, così avevano pensato che sarebbe stato il palcoscenico ideale per una gara motonautica. Ne avevano parlato con un mio amico monegasco durante la 24 ore automobilistica sul ghiaccio che si corre tutti gli anni a Chamonix e questo aveva organizzato l’incontro.
Adesso eravamo gli uni di fronte agli altri e, come mia abitudine sono stato subito franco, rude dicono quelli che mi conoscono per la prima volta. Per fare una gara a Cuba ci vogliono un sacco di soldi: le barche da offshore non sono monoposto che ce ne stanno un bel po’ per ogni container, devono essere traghettate in una nave dedicata e poi la logistica sul campo di gara immaginavo sarebbe stata tutta da inventare.
Con mia sorpresa non si fecero intimorire da quelle parole, presero nota di tutto e ci lasciammo con l’accordo che nel mese di agosto avrei fatto un primo sopralluogo sull’isola per verificare di persona la fattibilità dell’evento. Furono di parola, puntualmente nell’agosto del 1994 sbarcai all’Avana.
C’era uno sponsor importante, la Tabacalera spagnola che voleva lanciare sul mercato il cigarillo Montecristo e proprio quello sarebbe dovuto essere il marchio sponsor della manifestazione. La gara doveva essere organizzata per la primavera dell’anno successivo per avere il tempo di portare le barche fino a Cuba e farle poi rientrare per il prosieguo del Campionato.
Arrivai a Cuba proprio nei giorni in cui centinaia di “balzeros” a bordo delle loro camere d’aria rappezzate alla meglio prendevano il largo sperando di raggiungere la Florida. “Cominciamo bene…” pensai.
Il governo cubano proponeva due siti per l’evento: Varadero oppure Marina Hemingway, entrambe ad alcuni chilometri dall’Avana. Le visitai e le bocciai entrambe, la prima è una località turistica, con bellissime spiagge ma senza fascino particolare per giustificare una trasferta continentale; la seconda era in stato di parziale abbandono, un po’ triste e fredda, e all’estrema periferia dell’Avana.
Furono queste le prime due cose che riportai a Osmany Cienfuegos, fratello dell’eroe della rivoluzione Camillo Cienfuegos, allora Ministro del Turismo e uno dei più ascoltati e importanti collaboratori di Fidel Castro, quando avvenne il primo incontro ufficiale con le autorità locali. Subito però avanzai anche una proposta alternativa.
La notte prima ero uscito dalla mia stanza all’Hotel Nacional, l’albergo emblematico dell’Avana fatto costruire negli anni Trenta dal mafioso Lucky Luciano, avevo camminato sul lungomare fino alla Fortezza del Morro. Sono un appassionato di storia e proprio la storia racconta che sul lungomare del Malecon, su quello stesso asfalto nel cuore dell’Avana, si era corso per anni un Gran Premio automobilistico da leggenda, tanto che Manuel Fangio, il mitico Campione degli anni Cinquanta e vincitore del Gran Premio, fu preso come ostaggio dai ribelli castristi alla vigilia della rivoluzione a scopo propagandistico, per farsi conoscere dal mondo. Era ripercorrere una pagina di storia sportiva e motoristica importante, era l’occasione per creare un evento nel cuore della città e avere un grande pubblico: “se mi autorizzate a organizzare una gara sul Malecon vi porto un milione di spettatori” fu la mia promessa. Per la cronaca poi furono un milione e mezzo.
Non fu difficile convincere Cienfuegos, bastò uno sguardo, semmai le sue perplessità nascevano dalla possibilità di convincere piloti di varie nazioni non propriamente “amiche” ad accettare la trasferta. Basti pensare che il Team Victory di Dubai aveva quasi la metà di piloti e tecnici statunitensi. Da parte mia ero invece molto preoccupato dalla proverbiale burocrazia dei regimi comunisti. Ci guardammo negli occhi e ci promettemmo a vicenda che saremmo stati solo io e lui gli unici interlocutori. Una stretta di mano sancì l’accordo e un’amicizia di tutta la vita. Non ci fu problema per i piloti ed ebbi sempre da parte del Governo cubano le porte aperte su tutte le mie richieste.
Quando tornai in Europa, come mi aspettavo, la proposta fu accolta con scetticismo e anche un po’ di ironia dai piloti, a conferma della pochezza culturale che ha sempre caratterizzato una grande maggioranza degli uomini dell’offshore. Invece a me il progetto entusiasmava e suggestionava, ci lavorai per tutto lo scorcio della stagione 1994 e tutto l’inverno e, nell’aprile del 1995, tutto era pronto per la “Montecristo Cup, La Habana-Cuba”.
Non è stata un’impresa da poco perché era uno dei periodi in cui il blocco statunitense ed europeo verso Cuba era molto rigido, in seguito si allentò soprattutto da parte dell’Unione europea e voglio pensare che fu anche la mia manifestazione ad aiutare questo processo di distensione. Questo evento ebbe infatti nel mondo un riscontro televisivo ineguagliato, conquistando la prime pagine dei telegiornali di tutto il mondo, CNN in primis.
Mauro Ravenna racconta l’arrivo di Fidel
La presenza di Fidel Castro alla partenza fu la più complessa richiesta che avevo avanzato fin dall’inizio della trattativa, ma non mi era stata data alcuna risposta. In seguito, nei giorni immediatamente precedenti alla gara, ci fu una sorta di balletto di annunci regolarmente disattesi: prima doveva presenziare al breafing, poi alle prove o alla serata di festa che precedeva la gara, ma nessuno si presentava. Sapevo che la disparità degli appuntamenti è una tecnica utilizzata per complicare eventuali progetti di attentato, ma ormai disperavo di incontrare il Leader Maximo.
La mattina della gara, alle 8, venni raggiunto da una telefonata del Colonnello Joselito, capo della sicurezza del Comandante, che mi annunciava la presenza di Fidel Castro alle 12 sulla barca starter per la partenza. Mi chiedeva di prendere il materiale necessario (bandiere e fumogeni) per un controllo, presentarmi al porto per gli accordi ma senza parlarne con nessuno.
Così feci. Mi domandò come si effettuava la partenza, lo spiegai, mi disse “va bene”, ma chiese la presenza di due motovedette veloci di scorta alla barca starter per motivi di sicurezza. Risposi che non era possibile: a 180 km/h sull’acqua la barca starter doveva essere sola, il mare non è una autostrada. Di fronte alla sua perplessità gli feci una proposta: si fidi di me, lei è armato, se sbaglio spari. Accettò.
Il materiale non fu più controllato, e al momento della partenza fotografi e operatori sugli elicotteri non poterono lavorare per motivi di sicurezza. Avevamo solo una piccola macchina fotografica con me che ci ha regalato la foto pubblicata.
Come promesso Fidel Castro si presentò al mio fianco e diede personalmente il via agli scafi del Mondiale. Il Comandante seguì tutta la gara dalla Fortezza del Morro, che con il suo faro sovrastava buona parte del circuito, e poi ritornò per la premiazione sul podio dove, oltre agli inni dei vincitori, su mia richiesta suonarono “Hasta Siempre Comandante Che Guevara”. Alla fine lo salutai facendogli i complimenti per quello che rappresentava per milioni di persone nel mondo e lui mi rispose: “anche tu non sei male…”.
Si tolse la “gorra” (il suo classico berretto) mettendomela sul capo e dedicandomela in seguito con una famosa foto della rivoluzione che conservo gelosamente.
Mauro Ravenna ritorna a Cuba con le Aquabike
In seguito lo incontrai ancora una volta in forma personale e poi la malattia affievolì le sue comparse pubbliche. Continuò invece il mio rapporto con il governo cubano. Nel 1996 organizzai ancora un Gran Premio Offshore e poi, lasciata questa specialità per l’Aquabike, tornai nel 1998 con un altro Gran Premio all’Avana per le moto d’acqua che riportò sul Malecon oltre un milione di persone. Le gare di motonautica erano diventate una sorta di festa popolare attesa con grande entusiasmo dalla popolazione locale che poteva così dimenticare la triste realtà quotidiana. Avevo anche preso l’abitudine di riempire i container che trasportavano le moto d’acqua e il materiale tecnico con quaderni e biro che poi distribuivo alle scolaresche. A Cuba l’analfabetismo è stato totalmente debellato ma, a causa dell’embargo, una matita e un quaderno sono ancora merce rara.
Il successo delle manifestazioni fu tale che mi venne chiesto di raddoppiare l’evento con una seconda tappa a Santiago di Cuba, cosa che avvenne nel 1999. In quell’anno riuscii anche a trasportare a Cuba una tonnellata e mezza di fuochi d’artificio e organizzare il primo spettacolo pirotecnico da dopo la rivoluzione (e mi risulta anche l’unico da allora) in occasione della Convenzione mondiale del turismo. La cosa curiosa è che lo spettacolo era stato programmato da mesi, ma casualmente cadde in concomitanza con la storica e prima vittoria della squadra di baseball cubana sugli Stati Uniti in casa loro, così del nostro spettacolo ne parlarono le tv di tutta l’America attribuendolo ai festeggiamenti per la grande vittoria…
Dal 2000 al 2004 ho organizzato altre sette gare di Aquabike a Santiago e Cienfuegos, il governo cubano mi aveva messo a disposizione una splendida villa sul Malecon e Fidel Castro è stato sempre il Presidente del Comitato d’onore. Poi, con l’avvento di un nuovo ministro del Turismo, molti equilibri e strategie di comunicazione sono cambiati. Così dopo 11 anni la motonautica a Cuba finì.
Fu un saluto commuovente. A Santiago di Cuba, la sola città martire ed eroe delle Repubblica Cubana, era diventata consuetudine, la domenica mattina prima della gara, una cerimonia solenne e molto toccante per deporre una corona di fiori al monumento dell’eroe santiaghero Franck Pais, organizzatore e capo militare della guerriglia, braccio destro di Fidel, trucidato dai soldati di Batista a soli 23 anni. Il monumento era in mezzo al verde e sovrastava il campo di gara, alla cerimonia presenziavano l’orchestra personale di Fidel, i cadetti dell’Accademia militare, i vecchi combattenti in raccoglimento con i giovani piloti venuti da tutto il mondo concentrati sulla gara imminente, una simbiosi storica ideale tra presente e passato.
Però l’ultimo anno, nel 2004, questa cerimonia fu proprio speciale perché a poche miglia di distanza, su una portaerei, il presidente Bush annunciava al mondo la vittoria e la fine della guerra in Iraq. Avevo, tra gli altri, di fronte a me Jose Ramon Fernandez, eroe della Baia dei Porci che Fidel Castro volle al comando delle sue truppe perché, addestrato all’Accademia di West Point, era il più adatto a comandare l’artiglieria. Ero il solo autorizzato a parlare e non potei non stigmatizzare l’arroganza di Bush e ipotizzare che anche il popolo iracheno non si sarebbe arreso così velocemente come tanti anni prima avevano fatto loro alla Baia dei Porci. I vecchi combattenti, ma anche molto piloti, si commossero e mi abbracciarono. È con questo momento straordinario che la motonautica ha salutato definitivamente Cuba. Ci sono cose nella vita che rimangono e neppure la pochezza dei giorni nostri può cancellare. Sono sempre stato, lo ribadisco, un uomo di destra ma ci sono atti d’amore e di coraggio che vanno riconosciuti e ammirati.