Deadrise, chi è costui? Ecco cos’è l’angolo di rialzo del fondo
Sergio Abrami ci spiega cos'è il deadrise, elemento della carena poco conosciuto, ma fondamentale per la tenuta di mare, comfort in navigazione e prestazioni.
Premessa. Questo articolo segue a “Come si sono evolute le carene delle barche a motore” , sempre curato da Sergio Abrami, progettista nautico dal 1971 e docente e coordinatore del master di Yacht Design all'ISAD (Istituto Superiore di Architettura e Design), che ha fatto precedere la storia dall’evoluzione delle carene per poi introdurre questo la spiegazione di che cos’è il deadrise che trovate in questo articolo.
Il deadrise ideale in base all’uso della barca
Ora vi starete chiedendo se la vostra barca ha il deadrise “giusto” e il profilo di ruota di prua corretto. Ma non fatevene un cruccio se così non è: come in tutte le cose, e specialmente nell’architettura navale, non esistono valori assoluti. Così anche il deadrise varia in funzione della velocità e dell’uso dell’imbarcazione.
La prima cosa che chiedo a chi mi commissiona una carena per imbarcazioni plananti (motoscafi o carene di gommoni) è la velocità a cui vogliono viaggiare e il programma di navigazione, insomma che tipo di uso si vuole fare dell’imbarcazione. Faccio un esempio in campo automobilistico che per molti è più familiare. Penso che sia a noto a tutti che è inutile montare (al di là di quanto registrato sul libretto di circolazione dal costruttore) pneumatici extralarge per viaggiare tranquilli in città o comunque a medio basse velocità: aumentano inutilmente sia il costo degli pneumatici sia soprattutto i consumi. Di certo, solo sull’asciutto, uno pneumatico con impronta a terra più larga ha migliore tenuta di strada in curva ad alta velocità, ma nel 95% del suo utilizzo, ovvero in rettifilo o in curva a basse velocità, consumerà più combustibile a parità di prestazioni, per non parlare del maggior rischio di acquaplaning sul bagnato.
Il deadrise varia
in funzione
della velocità
e dell’uso della barca
Così, anche per le carene ci sono pro e contro. Una V profonda (da 22° a 24° di deadrise) ha certamente un miglior passaggio d’onda, sente meno il mare in velocità, ma assorbe più potenza, ovvero maggiori consumi a pari velocità o minore velocità a parità di potenza utilizzata. Ma anche minor comfort a barca ferma all’ormeggio o in rada. Quindi, sotto i 30 nodi di velocità ci si può accontentare anche di un deadrise di 18°-20°.
Imbarcazioni che operano in acque prevalentemente tranquille e a velocità di poco superiori a quella di planata (ovvero di poco superiori ai 13-14 nodi) possono navigare correttamente e con limitate potenze installate con deadrise dai 14° ai 16°. Queste carene muoveranno meno acqua, saranno più stabili all’ormeggio, richiederanno meno potenza, e consumeranno meno.
La correlazione tra velocità e angolo di rialzo del fondo è riassunta in questo prospetto:
Velocità relativa* Angolo deadrise
3 …………………….........……… 16°
3,5 ……………….........……...… 18°
4 ……………………........…….... 20°
4,5 …………………...................21°
5 ………………………................22°
6……………………....................23°
7 ……………………...................24°
oltre 8............................25°-30°
Lo stesso si può dire per il profilo della ruota di prua: per ogni velocità e utilizzo esiste il profilo più adatto.
L’importanza della posizione del baricentro
Per non parlare della posizione del baricentro (o centro di gravità) a barca dislocante. Maggiore è la velocità relativa raggiungibile (legata quindi a potenza installata, dislocamento e lunghezza al galleggiamento) più il centro di gravità (CG) deve arretrare verso lo specchio di poppa. Tanto per farsi un’idea, in una carena dislocante il CG è a circa il 2-3% a poppavia da metà della lunghezza al galleggiamento. Questo fa comprendere, al di là di altre considerazioni pratiche, l’utilizzo di motori e propulsione piazzati a estrema poppa come gli entrofuoribordo o l’uso di V-Drive in caso di potenze maggiori.
Esempi pratici di carene a 24° di deadrise
Ho realizzato carene per tender veloci per megayacht con angolo di rialzo di 23.5°, ma anche con l’input di garantire una navigazione asciutta alle medio-alte velocità grazie a una adeguata svasatura delle sezioni di prua. Favorendo così anche la facilità d’imbarco da prua, caratteristica sempre apprezzata nei porti affollati.
Per non parlare di barche di soccorso o pronto intervento antincendio con carene di 24°-25° come questo mio rib di 10 m realizzato da Stem Marine Italia per i Vigili del fuoco francesi e del Principato di Monaco. È un’imbarcazione “ognitempo” autoraddrizzante dove una V particolarmente profonda assorbe energia, ma permette di navigare in ogni condizione di mare alla massima velocità, creando poco stress fisico all’equipaggio.
Esempi carene a 16° di deadrise
Sul fronte opposto, in acque interne, la necessità di contenere i costi di gestione, modesta richiesta di velocità per coprire tratte molto brevi in acque per lo più tranquille, trovano risposta in questa altra carena planante. Si tratta di un piccolo trasporto passeggeri per il lago d’Iseo progettato nel 1973, che aveva un deadrise, o se preferite rialzo del fondo, di soli 16° e la prua piatta. Un angolo maggiore avrebbe solo creato problemi di stabilità trasversale a scafo vuoto e generato costi di gestione elevati aumentando inutilmente i consumi. Per non parlare della riduzione del moto ondoso sulle rive. Costruita nel 1973 a Montisola ha prestato servizio come mezzo pubblico per oltre 25 anni collegando la terra ferma a Montisola.
Il confronto con i vecchi e pesanti motoscafoni aperti usati in precedenza era a dir poco impietoso. Ogni volta che quelli partivano creavano onde e disturbo sulle rive facendo ballare le barchette da pesca ormeggiate tra le bricole, mentre il “mio” mini traghetto con identica capacità di trasporto, ma dislocamento pari a un terzo e appropriate linee di carena, non faceva praticamente onda.
Ruota di prua , volumi di prua e stabilità di rotta
Alcune illustrazioni tratte dal testo di Renato Sonny Levi, “Milestones in my Designs” (leggete anche gli articoli tratti da questo libro e pubblicati su Boatmag 1 - 2 - 3) illustrano meglio di mille parole le problematiche connesse a prue troppo immerse o con ruota troppo pronunciata in caso di navigazione ad alta velocità con il mare mosso.
Stessa situazione di “disagio” anche sul piatto nel caso di posizione di baricentro troppo avanzato in relazione alla velocità raggiunta: lo spinout o testa e coda è in agguato. Il web è ricco di filmati con spettacolari e pericolosi testa e coda dove l’equipaggio viene sbalzato fuori dalla imbarcazione. Se il pilota imprudentemente non ha lo stacco al polso c’è il rischio che lo spettacolo si trasformi in tragedia.
Dedrise, alcuni dati di riferimento
Ecco quanto incide l’angolo di rialzo o deadrise sulla pressione del fondo:
Alla velocità di 30 nodi questi sono i valori di pressione sul fondo espressi in kg/cmq
- 0° = 1,254 kg/cmq
- 10° = 1,144 kg/cmq
- 14° = 1,046 kg/cmq
- 16° = 0,989 kg/cmq
- 18° = 0,928 kg/cmq
- 20° = 0,863 kg/cmq
- 22° = 0,797 kg/cmq
- 24° = 0,729 kg/cmq
- 26° = 0,661 kg/cmq
Ecco come variano le pressioni sul fondo in kg/cmq con un angolo di deadrise di 24° in funzione dell’incremento della velocità
- 10 nodi > 0,081
- 20 nodi > 0,324
- 30 nodi > 0,729
- 40 nodi > 1,296
- 50 nodi > 2,025
- 60 nodi > 2,915
* Velocità relativa carena
La velocità relativa di una carena è data dal rapporto V/√L, dove V è la velocità della carena e L la sua lunghezza (di solito si assume per L la lunghezza al galleggiamento). Poiché questo rapporto dipende dalle unità di misura che adoperiamo per esprimere V ed L , si preferisce utilizzare il Numero di Froude Fn (o FN) = V / √(gL), dove V, g ed L devono esser espressi in unità di misura omogenee, cioè se g (= accelerazione di gravità) è espressa in metri/secondo2, V lo sarà in metri/secondo e L in metri, ed il loro rapporto (con g ed L sotto radice) sarà un numero puro.