Non solo in inverno, anzi, soprattutto in giornate di bel tempo e con temperature elevate, non è raro assistere a fenomeni atmosferici intensi che si sviluppano in brevissimi istanti: raffiche violente, pioggia, grandine e, soprattutto, fulmini. Sono i temporali.
Il meteo in barca è importantissimo da valutare non solo prima di salpare, ma anche in ogni fase della navigazione, perché le condizioni meteomarine possono prendere di sorpresa in qualsiasi momento.
Vediamo allora come si sviluppano, come sfuggire e anche come affrontare i temporali, nel caso in cui ci si trovasse improvvisamente dentro.
Il cuore del fenomeno temporalesco è rappresentato dalla formazione di un cumulonembo, ovvero una nube a sviluppo verticale, che prende vita grazie a una bolla d’aria calda e umida sollevatasi dal suolo. L’aria, riscaldata dall’insolazione, si espande e inizia a salire verso quote comprese tra 800 e 1500 metri.
In questo ambiente, dove la pressione atmosferica diminuisce, l’aria si raffredda rapidamente e il vapore acqueo in essa contenuto condensa, dando origine alla prima fase del temporale. In questa fase, le correnti ascensionali possono raggiungere velocità fino a 100 chilometri orari, portando la nube a svilupparsi in altezza fino alla tropopausa, che nelle nostre latitudini si situa intorno ai 12.000 metri, mentre in prossimità dell’equatore questo limite può estendersi fino a 20.000 metri.
Il risultato è un cumulonembo dalla base scura e profonda e dalla sommità normalmente caratterizzata da una forma a incudine, segno inconfondibile della sua maturazione.
Quando il processo di condensazione ha accumulato sufficiente energia, le particelle d’acqua, ormai troppo pesanti per sostenere la spinta ascensionale, innescano correnti discendenti che, insieme a raffiche di vento improvvise, portano precipitazioni intense e, in alcuni casi, grandine: è la fase "downburst".
La fase "downburst" è particolarmente pericolosa, poiché le raffiche a livello del suolo possono superare i 100 chilometri orari.
Esistono, tuttavia, diverse tipologie di temporali da affrontare in mare e sono favoriti da diverse condizioni atmosferiche. Vediamoli.
I temporali di calore, o termoconvettivi, si verificano quando una massa d’aria fortemente riscaldata dal suolo si solleva, tipicamente in giornate estive, raffreddandosi e condensandosi.
In alternativa, i temporali orografici si formano in prossimità di rilievi come colline e montagne: gli ostacoli naturali agiscono da trampolino, costringendo l’aria calda a innalzarsi, raffreddarsi e condensarsi rapidamente, con uno sviluppo spesso più repentino e difficile da prevedere.
Un’altra categoria è rappresentata dai temporali frontali, che nascono all’interfaccia di una massa d’aria calda e di una fredda; in queste situazioni l’aria fredda si insinua sotto quella calda, sollevandola violentemente e dando vita a un fronte freddo temporalesco, più esteso nelle sue dimensioni e più prolungato nel tempo rispetto ai tipici temporali estivi.
In navigazione, l’osservazione attenta dell’ambiente è fondamentale per riconoscere i segni dell’avvicinarsi di un temporale.
In prossimità della costa o in zone interne, l’addensamento progressivo delle nubi è uno dei primi indicatori: nubi che si fanno sempre più scure e si sviluppano in altezza suggeriscono che il cumulonembo sta prendendo forma.
Un altro segnale distintivo è il cambiamento nella direzione del vento: nella fase di formazione, l’aria tende a convergere verso il centro della perturbazione, generando venti che si dirigono verso il groppo. Le correnti ascensionali ora si equilibrano con quelle discendenti generando qualche istante di calma totale che, contrariamente a quanto possa sembrare, non porta a nulla di buono, perché è questo il momento in cui dobbiamo aspettarci l’imminente arrivo dei fenomeni più violenti.
Infatti, nei minuti immediatamente precedenti l’arrivo del temporale, proprio per l'effetto di bilanciamento della forza ascensionale con quella discendente, l'attività temporalesca di fatto si sospende temporaneamente.
Questo “stallo” è un campanello d’allarme importante: significa che la nube sta per scaricare tutta la sua energia in forma di pioggia, grandine e raffiche violente.
I venti forti tendono a sfilacciare la parta alta delle nubi, quindi se il fenomeno vi coglie a debita distanza, cercate di osservare la sommità del cumulonembo, perché rivela la direzione di spostamento del groppo, fornendo un'informazione importante al comandante su dove sta dirigendo l’impatto più violento dei fenomeni. Lo sfilacciamento, infatti, segue la direzione del vento, quindi indica la rotta del temporale.
In mare, la tempestività nelle azioni di emergenza può fare la differenza tra un’esperienza gestibile e una situazione pericolosa. Appena si avvertono i primi segni di un temporale, è fondamentale mettere in atto una serie di misure per proteggere l’imbarcazione e l’equipaggio.
Prima di tutto, è opportuno chiudere oblò, osteriggi, passa uomo e prese a mare. In coperta tutto deve essere ben fissato e gli oggetti amovibili come cuscini, asciugamani, occhiali e quant’altro che possa volare via, deve essere portato sottocoperta, perché oltre al rischio di perderli possono diventare proiettili pericolosi durante le raffiche.
Infine, ma non per ultimo, sulle barche a vela che portano il tender al traino, devono issarlo in coperta e assicurarlo bene con la chiglia orientata verso l’alto; il motore fuoribordo, se si è in navigazione è auspicabile che sia già stato fossato sul proprio alloggiamento.
Sulle imbarcazioni a vela, è bene ridurre al minimo la tela esposta, rollando il fiocco e mantenendo la randa terzaruolata al massimo, in modo da minimizzare l’esposizione al vento. Se però l’equipaggio non è in grado di collaborare al governo dell’imbarcazione, in situazioni di estrema turbolenza, può essere preferibile affidarsi al motore ammainando le vele. Non è ortodosso, ma alle brutte un fazzolettino di fiocco si può tirare fuori anche all’ultimo momento.
L’obiettivo, in ogni caso, è quello di allontanarsi dalla costa e quindi dal punto dove si è formato il temporale. In questo modo, avremo i fenomeni più violenti in poppa, attenuandone l’effetto sulla barca. Un’imbarcazione a motore ha molte più possibilità di allontanarsi velocemente dal groppo e quindi di evitarne le conseguenze.
Se si viene sorpresi, sia a bordo di una barca a vela sia su una a motore, bisogna evitare di tentare un avvicinamento a terra e un ingresso in porto mentre i fenomeni più duri sono in corso.
Manovrare in acque ristrette con raffiche a 40-50 nodi è impossibile o molto difficile anche con motorizzazioni potenti. Inoltre, le forti precipitazioni possono ridurre quasi a zero la visibilità: a maggior ragione non si deve tentare un atterraggio, ma ci si deve allontanare o mantenere la posizione, se il motore è sufficientemente potente, con venti e mare al mascone in attesa che le condizioni migliorino.
Quando la visibilità viene ridotta da pioggia intensa o grandine, è indispensabile attivare i dispositivi sonori per segnalare la posizione dell’imbarcazione e allertare eventuali imbarcazioni vicine.
Molto dipende dal grado di preparazione delle persone a bordo. In ogni caso, chi non è necessario alle manovre, è più sicuro che vada sottocoperta. Chi rimane in pozzetto, nel caso di una imbarcazione a vela, deve indossare il giubbino salvagente e l’imbracatura per assicurarsi alla jack-line o a qualche parte strutturale della barca. Il rischio maggiore in queste condizioni è quello di finire fuori bordo.
Tra i vari fenomeni legati ai temporali, i fulmini rappresentano il pericolo maggiore. Sono il risultato di una differenza di potenziale tra le particelle cariche negativamente all’interno della nube e quelle positive presenti a terra.
La scarica elettrica, che può raggiungere intensità tra 10 e 200 kiloampere, è in grado di causare danni estremamente gravi a un’imbarcazione, con il rischio di incendi e il danneggiamento irreparabile di strumenti e impianti elettronici.
Le barche costruite in metallo possono, in qualche misura, dissipare l’energia del fulmine nel mare, riducendo i danni. Al contrario, imbarcazioni in legno o vetroresina non godono di questa protezione naturale, e sono quindi più vulnerabili.
È fondamentale tenere presente che elementi sporgenti come antenne e strutture metalliche (per esempio le parti degli alberi delle barche a vela) sono i punti d’ingresso privilegiati per le scariche elettriche.
A bordo durante i temporali è consigliabile non utilizzare dispositivi elettronici portatili, come il cellulare, e intervenire su connettori e cavi solo se il pericolo è lontano, per non esporsi a scariche improvvise.
Sulle barche a vela, la norma europea ISO 10134 prevede che, durante la costruzione, si integri un sistema di messa a terra che colleghi l’albero alla lama di deriva tramite un cavo robusto; dove ciò non è possibile, si adottano elettrodi posti sotto lo scafo e dispositivi parafulmine in rame, capaci di canalizzare e dissipare l’energia elettrica.
Per quanto riguarda le persone imbarcate, l’insieme di albero, stralli e sartie , sempre sulle barche a vela, crea una gabbia di Faraday che offre un’ottima protezione per l’equipaggio, ma solo se si evitano contatti con elementi metallici.
1. Il riconoscimento precoce dei segnali atmosferici e l’adozione tempestiva di misure preventive sono la chiave per gestire in sicurezza un temporale in navigazione.
2. Conoscere la dinamica dei fenomeni – dalla formazione dei cumulonembi, passando per l’insorgenza di correnti ascensionali e discendenti, fino al manifestarsi dei fulmini – permette di attuare strategie di difesa efficaci, minimizzando il rischio sia per l’equipaggio sia per l’imbarcazione.
3. La scelta di allontanarsi dalla costa, dove, soprattutto in estate, si generano con maggiore facilità i temporali, è la base della strategia vincente per evitare i fenomeni temporaleschi, che negli anni sono diventati sempre più violenti e imprevedibili.
C’è chi, molto determinato, decide di impegnarsi in un percorso di formazione per diventare comandante, e quindi per conseguire la patente nautica, e chi invece preferisce un avvicinamento più graduale senza rinunciare, sin da subito, a uscire in mare. In questo caso, la domanda principe è: posso guidare una barca senza patente nautica?
Il termine guidare non è proprio marinaresco ma bene si associa all’idea di patente. In realtà, lo abbiamo visto nel pezzo sulla patente nautica (clicca qui), necessaria quando si naviga oltre le sei miglia dalla costa e che si ottiene sostenendo l’esame; di fatto è una abilitazione al comando di un natante o una imbarcazione e non semplicemente una patente di guida.
Detto questo, rispondiamo alla domanda contenuta nel titolo: sì, senza patente si possono condurre barche rimanendo però entro le sei miglia dalla costa. Ma quali barche posso guidare senza patente nautica e a quali condizioni?
Qui le cose si fanno un po’ più complesse. Innanzitutto, diciamo che, se a bordo dell’imbarcazione è presente un comandante, ossia una persona in possesso di patente nautica, chi ne è sprovvisto si può mettere al timone e condurre qualsiasi imbarcazione per la quale è abilitato il possessore dalla patente nautica.
Se invece a bordo nessuno è provvisto di patente, allora subentrano dei limiti dettati dalle dimensioni della barca e dalla potenza del motore. Vediamo i dettagli.
750 cc per motori a due tempi a carburazione o iniezione - 1.000 cc per motori a quattro tempi fuoribordo o a iniezione diretta - 1.300 cc per motori a quattro tempi entrobordo - 2.000 cc per motori diesel.
Schematizzando possiamo dire che si possono guidare barche a vela, motore e remi se: ci si mantiene entro le sei miglia dalla costa; la barca rientra nella categoria dei natanti, ovvero non sia più lunga di 10 metri, se il motore ha una potenza non superiore ai 40 cv.
A ben guardare, la legge prevede una differenza fra mare e lago in merito alla lunghezza della barca per poterla guidare senza patente nautica, che però nella realtà trova scarsa applicazione.
In acque interne, infatti, non c'è limite di lunghezza della barca per chi è sprovvisto di patente nautica, ma valgono gli stessi limiti per la potenza dei motori.
Ne consegue che una persona non patentata è autorizzata a pilotare su un lago uno yacht di 12, 15 o anche 20 metri, ma all'atto pratico è impossibile trovare una barca da diporto di tale grandezza motorizzata con soli 40 cavalli, a meno che non sia con carena dislocante.
Questo tipo di carene, infatti, usano motori molto meno potenti in relazione alla loro lunghezza rispetto a una barca con carena planate, perché una volta raggiunto il loro limite di velocità - in genere 10-12 nodi di massima - non potrà mai andare oltre, anche se si raddoppiasse o triplicasse la spinta dei motori rispetto alla potenza prevista dal progetto.
Idealmente, quindi, è possibile trovare yacht più grandi con poco motore, ma rimane il fatto che 40 cv sono davvero pochi per barche superiori a 8-10 metri.
Diciamo innanzitutto che la patente nautica è un’abilitazione e non una licenza per la guida. In altre parole, quella che ci viene rilasciata per l’auto o la moto, è una patente che ci autorizza a guidare in prima persona il veicolo per la cui conduzione abbiamo preso la patente. In nessun caso potremmo mettere alla guida qualcuno sprovvisto di patente (foglio rosa a parte) con noi a bordo che ne dirigiamo le azioni, cosa che invece è possibile con l’abilitazione a condurre una barca.
La patente nautica, infatti, abilita al comando e alla conduzione di un’imbarcazione o natante da diporto, ma non obbliga il titolare a stare in prima persona per ore e giorni al timone, dove invece ci può stare chiunque, anche senza patente, purché abbia compiuto 16 anni di età e sia sotto il controllo del Comandante a bordo. È quest’ultimo, infatti, l’unico responsabile da tutti i punti di vista della “spedizione”, per usare il termine del Codice della navigazione, con l’obbligo e la responsabilità di coordinare e dirigere le operazioni prima e durante la navigazione.
Si può conseguire la patente nautica di categoria A dal compimento dei 18 anni in avanti, ma è stata varata una nuova legge che istituisce la patente di categoria D1, il cosiddetto patentino, che può essere conseguito già a 16 anni, ma con dei limiti, fra cui la potenza massima del motore di 115 cv.
Detto questo, torniamo al quesito principale: quando serve avere la patente nautica? La risposta è semplice: la patente nautica di categoria A, che abilita al comando di natanti e imbarcazioni da diporto, è obbligatoria per navigazioni oltre le 6 miglia dalla costa.
La patente nautica A può essere di due tipi: entro le 12 miglia oppure oltre le 12 miglia, anche detta senza alcun limite dalla costa, e può essere conseguita per l’abilitazione al comando di natanti e imbarcazioni fino a 24 metri solo a motore oppure sia a vela sia a motore, con due tipologie diverse d’esame.
Indipendentemente da qualsiasi limite previsto dalla legge, la patente nautica è necessaria per la pratica dello sci nautico.
Abbiamo detto che la patente nautica di categoria A serve quando la navigazione è condotta oltre le 6 miglia dalla costa. Questo vuol dire quindi che entro tale distanza si può condurre qualsiasi mezzo senza patente? Assolutamente no.
A tracciare il limite di obbligo della patente nautica è la potenza del motore: quando questa è superiore a 40,8 cv, occorre la patente di categoria A anche entro le 6 miglia o nelle acque interne. Vale sempre la possibilità di scelta fra l’abilitazione entro o oltre le 12 miglia e solo per barche a motore o sia vela sia motore.
Oltre alla potenza, il codice della nautica fissa anche diversi limiti della cilindrata, che determinano l’obbligo della patente nautica e sono i seguenti:
Nel descrivere i diversi tipi di patente abbiamo parlato di natanti e imbarcazioni. È una distinzione che apre due mondi diversi dal punto di vista amministrativo e delle dotazioni di sicurezza da avere obbligatoriamente a bordo, che sono più contenute per i natanti.
La distinzione è data dalla lunghezza di omologazione (e non fuoritutto) della barca: per natante si intende una barca entro i 10 metri. Da 10 fino a 24 metri si parla di imbarcazioni da diporto. Oltre i 24 metri si entra nella sfera delle navi da diporto (meglio conosciute come superyacht), per le quali sono richiesti titoli professionali specifici, che possono essere conseguiti non prima di tre anni di “anzianità” della patente per le imbarcazioni da diporto.
La differenza fra lunghezza di omologazione e lunghezza fuoritutto è che la prima si riferisce allo scafo senza alcuna appendice (tipo la spiaggetta poppiera o il pulpito di prua), la seconda tiene invece conto della lunghezza massima della barca, misurata fra le due estremità più sporgenti, comprendendo quindi tutti gli eventuali elementi aggiuntivi allo scafo. Succede così che una barca di 12 metri fuoritutto può essere configurata come natante se ha lo scafo di 9,99 metri e, alla stessa stregua, uno yacht di 27 metri fuoritutto può rientrare nella categoria delle imbarcazioni ed essere condotta con la normale patente nautica di categoria A, se il suo scafo è lungo al massimo 23,99 metri.
Anche per la conduzione delle moto d’acqua è obbligatoria la patente di categoria A.
Si tratta di mezzi che navigano normalmente in acque interne o entro le 6 miglia dalla costa, ma con motori di potenza ben oltre i 40,8 cv. Tuttavia il patentino D1 istituto con il decreto dell’ottobre 2024, modifica in qualche modo i limiti che riguardano la conduzione delle moto d’acqua, in quanto estende il limite della potenza del motore fino a 115 cv.
Quando si parla di patente nautica per il diporto, normalmente si intende quella di categoria A a vela o vela e motore entro e oltre le 12 miglia. Nell’ambito del diporto ne esisto di altre categorie:
Sicurezza, risparmio di carburante, efficienza, comfort. In due parole: assetto corretto. Lo strumento principe che abbiamo a bordo per ottenere il miglior posizionamento dello scafo sull’acqua, è il trim del motore.
Con questo termine si individua il meccanismo, normalmente un pistone elettroidraulico, che permette di modificare l’angolo fra il gambo del motore e lo specchio di poppa e, di conseguenza, di modificare l'assetto longitudinale, ovvero l'inclinazione tra prua e poppa, per adattare il comportamento dell'imbarcazione alle condizioni di navigazione.
Le immediate conseguenze di queste regolazioni si possono riassumere in quattro punti:
In plancia, a seconda del tipo di imbarcazione, il comando del trim è molto spesso un pulsante collocato sulla manetta del motore o, in altre configurazioni, l’interruttore si trova sulla plancia stessa in corrispondenza dello strumento che indica i gradi di regolazione in positivo o in negativo del trim.
In ogni caso, il pulsante permette di alzare il gambo del motore, premendo UP o di abbassarlo, agendo su DN (down).
Con il pulsante UP, il trim agisce positivamente portando l’elica in alto verso la superficie dell’acqua e aumentando l’angolo compreso fra lo specchio di poppa e l’asse del gambo del motore; premendo il tasto DN il trim va in negativo portando l’elica verso il basso e riducendo l’angolo fra il gambo del motore e lo specchio di poppa.
Con l’elica orientata verso l’alto (UP), il fuoribordo esercita una spinta verso il basso, facendo di conseguenza alzare la prua della barca, riducendo la parte bagnata della carena e quindi la resistenza sull’acqua.
Se il trim viene portato in posizione negativa (DN), l’elica si orienta verso il basso, esercitando una spinta verso l’alto della poppa e quindi verso il basso della prua, aumentando la parte bagnata dello scafo con un conseguente aumento della resistenza all’avanzamento e dei consumi e una riduzione della velocità.
Ne consegue che per andare veloci e bene si debba tenere sempre il trim in positivo? Assolutamente no. Un buon assetto della barca lo si raggiunge con un uso ragionato del trim – oltre che con una corretta disposizione dei pesi – a seconda delle condizioni di navigazione. Vediamo.
Premesso che sono le condizioni meteo marine e la nostra esperienza gli elementi che orientano verso un corretto utilizzo del trim, possiamo schematizzare alcune regole generali.
Partenza e Accelerazione: durante la partenza, è consigliabile abbassare il trim per mantenere la prua bassa. Questo permette all'imbarcazione di planare più rapidamente.
Una volta raggiunta la planata, il trim può essere alzato gradualmente per ridurre la resistenza e migliorare la velocità.
Guarda nel nostro video le reazioni della barca in base alle regolazioni del trim
La distribuzione dei pesi a bordo interagisce con la regolazione del trim. Spostare dei pesi a prua significa contribuire a tenere la prua bassa e quindi a entrare prima in planata, ma anche ad aumentare la resistenza all’avanzamento.
Tenere troppo appoppata la barca con i pesi tutti arretrati significa ritardare la planata e aumentare la superficie prodiera dello scafo esposta al vento e all’impatto con le onde. Di conseguenza è importante monitorare il comportamento della barca per raggiungere un assetto ottimale con la prua leggermente sollevata senza che la stabilità sia compromessa.
Le condizioni del mare sono un altro elemento quanto mai determinante ai fini della regolazione: in presenza di onde alte, è preferibile mantenere un trim più basso per aumentare la penetrazione dell'imbarcazione nell'acqua e garantire maggiore controllo.
In acque calme, si può utilizzare un trim più alto per ridurre la superficie bagnata e migliorare l'efficienza. Durante le virate, infine, è consigliabile abbassare leggermente il trim per migliorare l'aderenza dello scafo sull'acqua e aumentare la stabilità.
Viste le regole generali, possiamo cercare di cogliere qualche segnale e adottare dei trucchi che ci aiutino a regolare al meglio il trim.
Un segnale d’allarme cui dobbiamo prestare attenzione è la durezza del timone. Se è eccessiva, abbiamo probabilmente il trim troppo negativo e quindi l’elica troppo immersa. Un timone duro in fase di ingresso in planata può essere giustificato, ma una volta raggiunta la planata, se il problema rimane, occorre alzare un po’ il trim e alleggerire la prua.
Un altro segnale di buona o cattiva regolazione del nostro strumento è la scia, che con una regolazione corretta deve staccarsi dallo specchio di poppa.
Ne abbiamo già parlato ma è bene ribadirlo: la questione dei pesi è di fondamentale importanza. Ma se le persone a bordo possiamo spostarle, il peso del carburante incide nella posizione in cui sono collocati i serbatoi. Se abbiamo fatto il pieno e i serbatoi sono a poppa, avremo bisogno di più trim negativo per un ingresso in planata e magari di spostare qualche passeggero a prua.
Infine, se abbiamo il trim troppo alto, un altro segnale che indica questa anomalia è la tendenza dell’elica a cavitare e quindi a rallentare la barca.
E con mare mosso? In condizioni di mare duro, è generalmente consigliabile abbassare il trim per un ingresso in planata rapido. Sempre che questo sia possibile date le condizioni meteo e il tipo di carena della barca.
Una prua abbassata aiuta a ridurre il rischio di colpi violenti contro le onde durante l'accelerazione iniziale e la navigazione, a patto che si abbia a disposizione una V di prua profonda e in grado di aprire i flussi.
Una volta raggiunta la velocità di crociera, il trim deve essere regolato per ottenere un assetto bilanciato, con un trim, se possibile, leggermente negativo per consentire alla prua di penetrare meglio le onde, riducendo i sobbalzi.
Con onde lunghe e regolari, si può mantenere un assetto relativamente neutro o leggermente positivo per scivolare dolcemente sulle creste. Viceversa, con onde ripide e corte è essenziale abbassare il trim per mantenere la prua bassa e migliorare la penetrazione, evitando che l'imbarcazione venga sollevata eccessivamente e si esponga anche all’effetto del vento.
Come spesso accade quando si parla di navigazione, le regole generali sono soggette a molte variabili, che non sono dettate solo dalle condizioni del mare o della barca, ma anche dalla sensibilità acquisita dal driver.
Infatti, per raggiungere una buona capacità di regolazione dell’assetto e quindi del trim, quello che un buon marinaio deve fare è: provare! Uscire in mare e coltivare la curiosità di raggiungere il miglior assetto, dove velocità, consumi e comfort trovino il miglior equilibro, sfatando così il pregiudizio di chi crede che navigare a motore sia solo questione di mettere in moto e girare il volante.