Carene barche: le tipologie

Categorie: Tecnica
27 Marzo 2014
Carene barche: le tipologie

Dire che la carena è l’anima della barca è affermare un’ovvietà, ma anche una grande verità.

Eppure quando si valutano le diverse variabili di un acquisto l’attenzione dedicata a questo elemento è minima, spesso perché non si hanno le cognizioni tecniche per giudicare. Proviamo a fare un po’ di chiarezza

Con consumi e costi di gestione sempre sotto osservazione, uno sguardo sotto la linea di galleggiamento ogni tanto ci vuole e anche dal punto di vista progettuale si sta assistendo a un rimescolamento delle carte, con le carene dislocanti e semidislocanti che trovano nuovi estimatori e non solo per mere questioni di economie di esercizio.

Partiamo da un parallelo solo all’apparenza azzardato: la barca mentre accelera è come un aereo al decollo; cambia l’elemento in cui si muove, acqua/aria e non solo aria, e il fatto che nelle tre fasi del decollo l’aereo resta sempre lo stesso, mentre le barche cambiano tipologia di carena. Ma vi sono analogie utili a capire come funzionano le principali famiglie di carene.

Per essere più chiari, quando rulla in pista, ben appoggiato sui carrelli, l’aereo è come una barca dislocante, ben immersa nel mare: tutta la spinta di galleggiamento è di natura statica.

Quando è in fase di decollo, ben cabrato e con il muso teso verso il cielo, ma con i carrelli posteriori che toccano ancora terra, è come una barca semidislocante che pur continuando a solcare l’acqua, sfrutta già una componente di portanza idrodinamica (lift) della carena: una parte del sostentamento è ancora statico, ma la parte dinamica comincia a farsi sentire e solleva un poco la barca dall’acqua.

Quando è decollato, la portanza della ali corrisponde a quella della carena: l’aereo vola, la barca vola, ovvero plana, sulla superficie d’acqua.

Tralasciando i catamarani, che alla portanza degli “scarponi” (come vengono chiamate in gergo le due carene) uniscono anche quella aerodinamica del tunnel centrale, si possono individuare quindi tre macrocategorie di carene: dislocanti, semidislocanti e plananti, queste ultime con quelle a V profonda in evidenza.

Qui analizziamo le tre tipologie di carene per barche, dislocanti, semidislocanti e plananti, senza dimenticare un pratico glossario che trovate in un articolo successivo a questo link.
Per leggere l’articolo completo si può invece sfogliare o scaricare BoatMag n. 6.

Carene barche: dislocanti

Si può partire dal principio di Archimede: un corpo immerso in un fluido riceve una spinta verticale dal basso verso l’alto uguale per intensità al peso del fluido spostato.

Semplificando, una barca dislocante è un buco nell’acqua che sostiene lo scafo. Alla base c’è il concetto di “sostentamento”: in fase di progetto i dati da cui si parte per tutte le carene sono la velocità di crociera e la lunghezza della barca.

La peculiarità di uno scafo dislocante è di presentare una velocità teorica massima di avanzamento, detta anche critica, data dalla formula Vm = 1,35 √(L) dove L è la lunghezza al galleggiamento dello scafo espressa in piedi e Vm la velocità espressa in nodi. Il compito del progettista è quindi quello di ottimizzare le forme di carena su questi parametri, velocità e lunghezza (o dislocamento), sapendo che una volta raggiunta la velocità di progetto - che dovrebbe corrispondere con quella di crociera - si dovrà accettare un leggero calo di efficienza.

carene barche

Nelle carene barche dislocanti, la potenza richiesta per superare la velocità critica cresce esponenzialmente, principalmente per la resistenza d’onda e in parte per l’attrito superficiale della carena. Se si osserva una barca dislocante in navigazione, si nota che nello sforzo di aprirsi una strada nell’acqua genera un’onda a prua molto importante che prosegue lungo la murata e risale sostenendo la poppa. In altre parole alla velocità massima, o critica, lo scafo finisce con l’essere sostenuto da una sola onda che ha la sua cresta in corrispondenza della prua e la cresta successiva sotto la poppa, cioè un’onda che ha la stessa lunghezza dello scafo.

Se si cerca di aumentare la velocità, si crea un’onda più lunga dello stesso scafo e la poppa “cade” nell’incavo non avendo più portanza e questo ne causa il rallentamento a causa dell’assetto “appoppato”.

Carene barche: semidislocanti

Semidislocanti, o semiplananti che dir si voglia, sono barche di solito scelte da chi ama navigare, vuole ambienti spaziosi a bordo e non ha necessità di “sparate” a 30 e passa nodi.

Non è un caso che a questa categoria si rivolgano anche molti velisti, stufi della caccia all’equipaggio, ma vogliosi di godersi il mare con i giusti ritmi.

Per fare un esempio di carene semidislocanti basta pensare ai tanti gozzi d’epoca che, alla ricerca di prestazioni velocistiche migliori, sono stati dotati di motori più potenti e di grandi “flap fissi” per garantire quella portanza che impedisce la “caduta” della poppa nell’incavo dell’onda.

Nei progetti più recenti, questa soluzione “rimediata” e discutibile, è stata sostituita da un completo ripensamento di tutta la carena, a cominciare da una zona prodiera più stellata, quindi meno voluminosa di una dislocante, pur conservando eccellenti volumi e tendenzialmente uno slancio prodiero abbastanza contenuto, figlio anche di una moda che vuole queste barche con un look un po’ vintage.

carene barche

La grande differenza è però a poppa, dove con vari sistemi si garantisce quella portanza che sui piccoli gozzi era raggiunta con i flap posticci. Osservando una barca semidislocante in navigazione, si nota che la generosa superficie della poppa riesce a evitare la caduta nell’incavo, la scia è spianata e la prua fende con decisione l’onda generata, iniziando quasi a cavalcarla, anche se completare questa operazione significherebbe passare alle carene plananti.

Quindi tendenzialmente la velocità di crociera, che è anche la più economica, si attesta in un range da 12 a 15 nodi (in funzione della lunghezza al galleggiamento), ma con la possibilità di passare i 20 quando questo si renda necessario, sapendo però che non è l’utilizzo ottimale della barca. Benché di gran moda, la progettazione di carene semidislocanti è in realtà molto complesso... e non sempre è risolto in maniera brillante.

Carene barche: plananti

Per tornare all’esempio dell’aereo (vedi parte 1), adesso siamo decollati, ma non necessariamente si deve volare a 50 o più nodi per essere barche plananti.

Quindi, la prua ha scavalcato completamente l’onda ed è “asciutta”, mentre e la carena come un surf la cavalca. Stando al timone la sensazione è chiara: è come se non ci fosse più resistenza (in realtà è solo diminuita) e la velocità cresce anche se non stiamo accelerando.

La velocità, quindi l’efficienza di una carena e i conseguenti consumi, è strettamente legata alla portanza, cioè alla sua capacità di “surfare” sull’acqua, che è data dalla combinazione di alcuni fattori: la superficie bagnata, l’angolo di attacco della carena stessa e la velocità di progetto. Una poppa piatta tende, con mare di poppa o comunque alle alte velocità, ad appruare l’assetto della barca e quindi a essere anche pericolosa, mentre una V profonda con i pattini ben progettati, aumenta il grado di libertà della carena dalla resistenza dell’acqua, generando quell’assetto variabile che, ben gestito da un buon driver, garantisce risultati in assoluto migliori sia in termini di velocità sia di economie di esercizio.

carene barche

Insomma, quando si va piano (ma già in planata) la carena a V profondo è più immersa, con tanta superficie planante che genera una benefica spinta spinta verso l’alto; all’aumentare della velocità la carena viene progressivamente spinta verso l’alto, diminuendo sia il volume immerso che la superficie bagnata. Ecco perchè le carene a V profonda, se ben progettate e bilanciate, sono delle ottime carene per barche anche alle andature meno sostenute, addirittura, in alcuni casi, ai limiti inferiori della planata, con un’ottima efficienza persino in dislocamento puro.

Condividilo a un amico

Alberto Mondinelli

Alberto Mondinelli, 40 anni di nautica dalle regate di 420 alle gare offshore di Classe 1, e poi addetto stampa dei più importanti team negli anni Novanta e della Spes di Mauro Ravenna nel momento di massimo fulgore della motonautica d’altura. Come giornalista, direttore responsabile di Offshore International e, più recentemente, tester di Barche a Motore.
Lascia un commento

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *


magnifiercrossmenu